
PORCI E BASTARDI. Nel suo sito, tra le invettive riservate ai "porci" e "bastardi leghisti", a suo dire "risucchiati nel water delle loro ideologie di merda", tra gli insulti riferiti al "porco criminale di Arcore", ai ciellini e ai cattolici tradizionalisti, don Giorgio De Capitani pubblica la lettera inviatagli dal cardinale Scola, capo di una "gerarchia cieca e ottusa", attorniata da "cani fedelissimi in combutta con il Criminale di Arcore". La missiva che lo strano prete definisce "fredda, canonica, minacciosa e ipocrita", lo invita a "cogliere l'occasione del tuo trasferimento (da Monte frazione di Rovagnate, ndr) per una significativa e inequivocabile correzione di rotta, astenendoti per il futuro da qualsiasi intervento che: ferisca la comunione ecclesiale, si opponga al magistero della Chiesa in temi di fede e di morale o risulti comunque incompatibile con gli atteggiamenti richiesti a un presbitero".
SCHEGGIA IMPAZZITA. Dunque, don Giorgio viene giudicato dal suo arcivescovo come un religioso alquanto discutibile, una sorta di scheggia impazzita del sacerdozio. Difficile comprendere, insomma, cosa abbiano fatto di male i dolzaghesi per meritarsi un pastore che, stando alle valutazioni del cardinale Scola, rischia di portarsi il gregge all'inferno.
ATEI E COMUNISTI. Almeno formalmente, Giorgio De Capitani verrà sottoposto all'autorità del parroco don Giorgio Salati, che avrà il non facile compito di "controllarlo". Per il prete costretto a lasciare Monte di Rovagnate, non si tratta di una novità: la sua storia parla di un sacerdozio caratterizzato da incarichi marginali o subordinati. Di certo, gli studi di don Giorgio non gli permettono di fregiarsi della qualifica di "teologo" che, pure, i suoi fans (tra cui un curioso seguito di atei e comunisti) gli attribuiscono.
LA CARRIERA. De Capitani diventa prete nel '63. Viene spedito a fare il vice parroco a Introbio, in Valsassina. Dopo tre anni il primo spostamento. Non si tratta di una promozione: va a fare ancora il vice a Cambiago, paese della provincia di Milano. Ci resta per 7 anni, poi finisce a Sesto San Giovanni (Mi) sempre viceparroco. Alla carica di parroco don Giorgio ci arriva solo 10 anni dopo, ma sembra un declassamento rispetto a Sesto: nel 1983 lo mandano a Colturano, mille anime in mezzo ai campi del sud milanese. E qui finisce la non esaltante “carriera”: manterrà la carica parrocchiale per un solo anno, poi inizia la sua vita di prete “residente”. Alloggerà a Perego, a Cassano d'Adda e, infine, a S. Ambrogio in Monte di Rovagnate dove si è trasformato nel guru di una religione che, ha sentenziato il cardinale, in termini di fede e morale poco ha a che fare con quella cristiana.
Da: Corriere di Lecco (www.corrieredilecco.it) 13 settembre 2013